No, la tua penna non mi serve
Scena da apocalisse.
Ultimo giorno di fiera. Ultime ore.
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Collettivi di persone che prima nemmeno volevano conoscersi, vagano assieme alla ricerca del portachiavi, della caramella, del blocco notes.
Stanno mettendo in atto una disperata tattica per cercare di impossessarsi del maggior numero di GADGET che gli sia permesso, o meglio consentito.
Dagli stand delle ditte espositrici sono ormai emigrati verso tiepidi lidi i direttori commerciali, i general manager, i supervisori. Sono già partiti per evitare la coda, e lo stand è lasciato in balìa dei soldati semplici, ultimi a chiudere le fila, e dei montatori, che si riconoscono per l’abbigliamento inadatto per la fiera, per l’aria rilassata e per i tatuaggi.
Ogni oggetto presente nello stand dovrà essere imballato e trasportato fino al carrello, all’ascensore, fino sul camion, oppure -tragedia- dovrà tornare in ufficio. Per questo bisogna sbarazzarsi di ogni scatolone non strettamente necessario.
Le scatole aperte di penne sponsorizzate vengono piazzate in mezzo al corridoio, i cestini di caramelle subiscono lo stesso destino, e via, via in un crescendo, gli shopper di tela, cappellini, cavatappi, righelli con il logo, scatole di stuzzicadenti, ogni cosa che prima era tenuta segretamente nascosta agli occhi dei più, custodita in attesa di regalarla con magno gaudio al cliente o al prospect che si azzardava a fare due parole allo stand (tanto lo sapeva che dopo sarebbe stato bombardato di mail e telefonate).
Questa scena la vedo ogni fine fiera che Dio onnipotente manda in terra, alla quale ho partecipato.
In buona sostanza, soldi buttati, tempo perso, risorse preziose utilizzate per essere accolte da cassetti di sconosciuti che mai saranno clienti, da persone che mai nomineranno il nome scritto sulla penna, perché niente sanno di quel nome.
Non voglio litigare con quelli che vendono gadget oppure organizzano penne e calendari personalizzati. Il mio punto di vista è questo: se una azienda pensa di poter incrementare il proprio fatturato o la propria marginalità distribuendo oggetti con il proprio marchio stampato sopra, questo non succederà.
Facciamo due casi:
1. Incontro un cliente conosciuto. Gli regalo una penna. Con il nome della “mia” ditta stampato sopra. Nel migliore dei casi questo cliente abbozza, dice grazie, mi da’ una pacca sulla spalla, e:
a) butta la mia penna in sala d’aspetto, in attesa che qualche sconosciuto se la metta in tasca con aria furtiva. Naturalmente lo sconosciuto non sarà coinvolto nel mio business, e userà la penna per usi impropri… tanto non costa niente…
b) tiene la penna nel portapenne sulla scrivania. Quando me ne sono andato la prova, decide che scrive da schifo, e la lascia lì in attesa che se la freghi il collega o la signora delle pulizie. La sua penna preferita è ben nascosta dentro il cassetto, oppure dentro la sua valigetta. Lui scrive solo con la sua penna preferita.
c) la butta direttamente nel cestino, che in ufficio ha già troppa confusione, e ha appena letto il libro di Marie Kondo sul magico potere del riordino.
d) ti guarda negli occhi con fermezza e ti dice “No, la tua penna non mi serve” (capitato a me qualche anno fa…)
2. Incontro un prospect, gli regalo una penna perché si ricordi di me. Vedi proseguimento come punto 1.
Quando affronto questo argomento, spesso tocco un nervo scoperto, e inizia un piccato dibattito… Un titolare di una impresa che fattura decine di milioni di euro, una mattina mi ha tenuto mezz’ora al telefono di un suo cliente che una volta gli ha detto che riceve il suo calendario con piacere ogni anno, e che con il calendario davanti non deve andare a cercare il numero di telefono sulla rubrica ogni volta che lo chiama.
Io capisco che le abitudini sono tali in quanto tali (è un po’ involuto come concetto, lo so) per cui sono difficili da far diventare non-abitudini, ed una di queste è sicuramente l’acquisto di gadget aziendali ogni fine d’anno.
Il punto che voglio svolgere alla fine è questo: avete dei soldi da spendere per marketing / promozione / pubblicità per la vostra azienda? (Ho usato termini arcaici come promozione e pubblicità volutamente).
Ogni euro che spendete vi deve tornare in ordine di fatturato e/o marginalità.
Come si fa? Provo qualche ipotesi.
Fate un evento in azienda.
Spendete i soldi che destinate ad inutile ciarpame per organizzare un evento con i vostri clienti migliori, o con i clienti peggiori, o con quelli più piccoli o più remoti. Offrite il viaggio, il pernottamento, un pranzo, una cena o un buffet, invitateli nella “tana del lupo”, fate sperimentare loro i vostri prodotti e servizi, in modo coinvolgente ed innovativo, interpellate qualche coach, o qualche formatore, o qualche persona sveglia che renda il tutto interessante e ricca di esperienza. Ed alla fine, per chi ha partecipato, per chi si è emozionato, per chi ha riso o si è ubriacato, un oggetto che ricorda la giornata da portare a casa. A casa, non in ufficio.
Fatevi pagare i gadget.
Non è uno scherzo, anzi è un passaggio fondamentale. La Mont Blanc si fa pagare per regalarvi la penna con il proprio logo, la Lacoste si fa pagare per regalarvi la polo con il proprio coccodrilletto. Qualche anno fa sono andato a vedere una sede dell’ESA, l’ente spaziale europeo, e mi hanno regalato una maglietta con il logo, facendomi pagare 35 euro una t-shirt. Sono stato felice di spendere quei 35 euro, ancora adesso me la metto con orgoglio pensando alla giornata passata. Una amica lavora per pagarsi gli studi in un supermercato, e fa le promozioni. Mi dice che quando ci sono le promozioni della Corona, la gente acquista quattro cestini di birra pur di avere la t-shirt con il marchio. Tante altre aziende vendono i propri gadget, butto lì qualche nome: Hello Kitty, Hard Rock caffè, Ducati e Harley Davidson.
La vostra azienda può vendere i gadget con il vostro marchio sopra? No? Allora vuol dire che non valgono niente! Peggio, regalando oggetti senza valore con il vostro nome sopra, rischiate di accostare il poco valore al nome della vostra azienda, di fatto svalutandola.
Date da mangiare a chi ha veramente fame.
Avete dei soldi da buttare veramente? Non volete niente in cambio? Allora regalate le vostre penne e matite a qualche scuola, in aree del pianeta svantaggiate, dove le penne servono veramente, e servono anche quaderni, libri, cappelli, t-shirt… Oppure stampate il vostro marchio su vestiti basici per bambini e neonati e regalate il tutto a qualche centro per le ragazze madri, oppure sostenete qualche associazione che promuova lo sviluppo e l’istruzione. Oppure date questi soldi alle organizzazioni di ricerca malattie rare, oppure a chi volete voi, ma che siete certi ne hanno veramente bisogno. Non come lo zombie da fiera ha bisogno di un’altra penna nel cassetto.
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